Introduzione
Con il termine procreazione medicalmente assistita (PMA) si intendono tecniche medico-biologiche che hanno l’obiettivo di indurre il concepimento in coppie che vivono il disagio emotivo e sociale della sterilità coniugale. Queste tecniche si distinguono in relazione alla loro specifica capacità di superare, ma non rimuovere, l’ostacolo che impedisce o rende improbabile la fertilità spontanea. Le tecniche di PMA che non prevedono il recupero chirurgico dei gameti sono di semplice esecuzione e bassa invasività e sono definite di I livello, mentre quelle che prevedono la fecondazione in vitro delle cellule uovo aspirate dalle strutture follicolari della gonade femminile ed il successivo trasferimento in cavità uterina degli embrioni ottenuti, sono definite di II e III livello. Questi due differenti livelli si pongono in relazione alla relativa invasività delle procedure ed alla correlata complessità operativa e strutturale delle Unità di PMA, sia in termini di tecniche impiegate che di tecnologie medico-biologiche disponibili.
Nello specifico, le tecniche di PMA di I livello sono: inseminazione sopracervicale, associata o meno ad induzione della crescita follicolare multipla (ICFM); crioconservazione di gameti maschili.
Mentre, le tecniche di PMA di II livello sono: fecondazione in vitro e trasferimento dell’embrione (FIVET); iniezione intracitoplasmatica dello spermatozoo (ICSI); prelievo testicolare dei gameti (prelievo percutaneo o biopsia testicolare); eventuale crioconservazione di gameti maschili e femminili ed embrioni; trasferimento intratubarico dei gameti maschili e femminili (GIFT), zigoti (ZIFT) o embrioni (TET) per via transvaginale ecoguidata o isteroscopica.
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Quando parliamo di procreazione medicalmente assistita facciamo riferimento a tutte quelle metodiche, siano esse chirurgiche, ormonali, farmacologiche o di altro tipo, che permettono di aiutare gli individui a procreare.
Studi e ricerche che sono state effettuate dimostrano che, statisticamente, solo un embrione su tre può raggiungere la data del parto; proprio per tale motivo la legge permette di impiantare più embrioni nell’utero al fine di aumentare le possibilità.
Ma quando una coppia può pensare di rivolgersi a professionisti per accedere a tali cure? E soprattutto quali pensieri si possono attivare dentro di loro?
Una coppia che dopo un anno di rapporti regolari non riesce a concepire, in genere è considerata infertile, anche se l’Organizzazione Mondiale della Sanità preferisce parlare di infertilità dopo 24 mesi. Psicologicamente non si è mai pronti ad affrontare una pratica di questo tipo perché sensi di colpa e senso di inadeguatezza sono solo alcune delle emozioni e dei pensieri che si attivano.
Parliamo di procreazione medicalmente assistita: dati statistici
L’infertilità riguarda circa il 15% delle coppie e le cause possono essere numerose e di varia natura. Per alcune di esse si può intervenire, con diagnosi tempestive, attraverso cure farmacologiche e terapie adeguate, ma anche, e soprattutto, con la prevenzione e l’informazione.
La sterilità in senso proprio, invece, riguarda le coppie affette da una precisa patologia irreversibile o che restano non fertili anche dopo un iter diagnostico e terapeutico esauriente e svolto in un tempo ragionevole.
I dati raccolti dal Registro Nazionale sono i seguenti:
- infertilità maschile 35,4%
- infertilità femminile 35,5%
- infertilità femminile e maschile 15%
- infertilità idiopatica 13,2%
- altro 1%
Quando la sterilità è una condizione permanente non resta che rivolgersi a professionisti allo scopo di usufruire delle tecniche di procreazione medicalmente assistite più sofisticate.
Va sottolineato tuttavia l’importanza e il ruolo dei fattori psico-sociali, dovuti a fenomeni complessi come lo stile di vita, la ricerca del primo figlio in età tardiva, l’uso di droghe, l’abuso di alcol, il fumo, le condizioni lavorative, l’inquinamento.
Sintomi e diagnosi
In realtà non esistono veri e propri sintomi legati alla procreazione assistita se non quelli legati alla infertilità e quindi all’impossibilità di concepire un bambino. Tuttavia alcune cause specifiche possono provocare sintomi specifici come ad esempio l’endometriosi, che è una malattia diffusa ed una delle cause più comuni di sterilità, può provocare dolori correlati alle funzioni degli organi interessati, dolore in prossimità delle mestruazioni, durante l’ovulazione, durante e dopo i rapporti sessuali.
L’iter relativo alla procreazione medicalmente assistita prevede una prima fase di valutazione della causa, che siano materne o paterne.
Cause
Le cause che possono portare alla sterilità possono essere tante ma, molte, sono legate allo stile di vita, problemi di peso infezioni ( quali Chlamidia, Sifilide ecc), l’assunzione in passato di steroidi anabolizzanti e fenomeno del doping.
Le donne, infatti, fanno figli più tardi rispetto al passato e anche rispetto alle altre donne europee. Si sposano in media a 28 anni e concepiscono il primo figlio a 30. Le ragioni che spingono le coppie a rimandare la genitorialità sono legate alle condizioni economiche, la stessa organizzazione familiare e la maturità emotiva che fa della procreazione una scelta autonoma e non un obbligo sociale.
La profonda modificazione culturale degli ultimi cinquanta anni ha dato un significato diverso alla filiazione, frutto di scelta e quindi di responsabilità individuale e di coppia. Tutto questo, tuttavia, richiede tempo e spesso accade che, quando si ritiene di essere pronti a concepire un figlio è troppo tardi.
Il periodo più fertile per una donna è, infatti, tra i 20 e i 25 anni, resta sufficientemente alto fino ai 35 e subisce un notevole calo dai 35 ai 40.
Con l’ età, infatti, invecchiano i gameti femminili e aumenta il rischio di malattie connesse all’infertilità-sterilità. Si tratta, spesso, di malattie comuni che possono capitare negli anni, tra cui le malattie infiammatorie pelviche, le patologie tubariche, lo sviluppo di fibromi uterini, l’endometriosi.
L’età dell’uomo è molto meno significativa, tuttavia, in età avanzata hanno un eiaculato peggiore sia in termini qualitativi che quantitativi. Gli spermatozoi sono di meno, e sono più frequenti le anomalie cromosomiche. Un ovocita fecondato da uno spermatozoo non normale, va incontro spesso ad un aborto spontaneo o diventerà portatore di malattie genetiche.
L’invecchiamento degli ovociti è un fattore di sterilità particolarmente rilevante. Gli ovociti di donne non più giovani hanno più spesso malattie genetiche, e se fecondati possono dare luogo a embrioni malformati che, come già detto, provocano aborti spontanei. La selezione naturale, infatti, elimina gran parte degli embrioni con malformazioni e questo spiega anche l’alto tasso di abortività spontanea nelle donne non più giovanissime.
I fattori che riducono la fertilità sono, dunque, sia di ordine quantitativo che qualitativo, ossia meno ovociti e di peggiore qualità.
L’età dell’utero, invece, è molto meno importante, tuttavia, dati statistici mostrano una correlazione tra età dell’utero e incremento della percentuale di aborti spontanei, di embrioni cromosomicamente normali e una maggiore incidenza di casi di placenta previa, di difficoltà nel travaglio, di patologie uterine, come polipi dell’endometrio e fibromi uterini.
Anche la fertilità maschile ha subito una significativa riduzione. Secondo molti studi, la percentuale di spermatozoi per millimetro si sarebbe quasi dimezzata negli ultimi cinquanta anni, e per questo motivo circa il 35% dei casi di infertilità ha una causa maschile. L’infertilità maschile riconosce di certo una componente sociale, legato allo stile di vita, ma naturalmente sono presenti anche altre cause.
I fattori da valutare sono molti ed eterogenei ed esiste una grande variabilità nella conta degli spermatozoi, nella loro morfologia, e nella loro capacità di movimento. Tra l’altro la conta non è un indice dimostrato di fertilità, in quanto non esiste una correlazione certa tra il loro numero e la fertilità, tranne in alcuni gravi casi. Ci sono, invece, maggiori evidenze riguardo a specifici fattori di rischio. Ad esempio alcune condizioni lavorative che espongono a radiazioni, a sostanze tossiche o a microtraumi, aumentano il rischio di infertilità. Anche l’esposizione agli inquinanti prodotti dal traffico, il fumo, e l’eccessivo stress possono essere fattori di rilevanza non indifferente.
Così narrate sembrano quasi sterili, invece, tutto quanto sopra citato, può avere effetti devastanti nella vita di un uomo e di una donna, e nella vita della coppia che si trova a dover affrontare tutto questo.
Cosa prevede la Legge?
La procreazione medicalmente assistita nell’ordinamento italiano è disciplinata dalla legge n. 40 del 19 febbraio 2004 recante “Norme in materia di procreazione medicalmente assistita”.
La legge definisce la stessa, all’art. 1 come “l’insieme degli artifici medico-chirurgici finalizzati a favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o l’infertilità umana qualora non vi siano altri metodi efficaci per rimuovere le cause di sterilità o di infertilità”.
All’articolo 2 si afferma che “lo Stato promuove ricerche sulle cause patologiche, psicologiche, ambientali e sociali dei fenomeni della sterilità e dell’infertilità e favorisce gli interventi necessari per rimuoverli nonché per ridurne l’incidenza, ma nel rispetto di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito”.
All’articolo 5 vengono definite le caratteristiche di chi può accedere; “alle tecniche di procreazione medicalmente assistita possono accedere coppie maggiorenni di accesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi”.
La legge prevede anche dei limiti all’applicazione delle tecniche sugli embrioni, infatti l’articolo 14 cita “e’ vietata la criocongelazione e la soppressione di embrioni. Le tecniche di produzione non devono creare un numero di embrioni superiore a quello strettamente necessario. La crioconservazione è però consentita per temporanea e documentata causa di forza maggiore, non prevedibile al momento della fecondazione”.
Effetti pragmatici sui pazienti
L’infertilità causa sofferenza e può attivare una crisi personale e di coppia particolarmente difficile. Evoca sentimenti profondi e complessi, e pone l’esigenza di fare scelte importanti come quelle di adottare, ricorrere ad un trattamento di procreazione medicalmente assistita o accettare di vivere senza figli.
In questi casi si possono generare crisi esistenziali individuali e di coppia e il consequenziale senso di vuoto nella propria vita, fino ad arrivare a veri e propri sentimenti di perdita.
Una diagnosi di infertilità è spesso all’origine di depressione, ansia, sentimenti di vergogna e fallimento per non aver potuto realizzare appieno la propria identità sessuale.
Le relazioni familiari e sociali, anche in questo caso, vengono messe a dura prova e la tendenza che si attiva nelle coppie è l’isolamento.
In particolare, tutte le occasioni sociali, soprattutto se propongono le presenza di bambini, rievocano il fantasma della culla vuota e, quindi, il continuo riemergere del senso di impotenza a generare.
Per le donne, e per gli uomini, la sofferenza può essere lacerante, molti di essi, soprattutto le donne vivono un carco emotivo non indifferente e decidere di affrontare un percorso di procreazione medicalmente assistita espone all’incertezza. Iniziare un percorso di procreazione medicalmente assistita significa, in primo luogo, ad essere disposti a tollerare l’incertezza del risultato a fronte di un investimento emotivo, economico ed organizzativo enorme.
Un ciclo di speranza e delusione che può ripetersi molte volte, e che pone la necessità continua di fare delle scelte, di prendere delle decisioni e, soprattutto, di mettersi continuamente in discussione per decidere per quanto tempo andare avanti.
La prima reazione in chi riceve una diagnosi di infertilità è quella della perdita di fiducia; un corpo che non risponde alle aspettative di generatività è un corpo in qualche modo escluso dall’ordine naturale, poiché generare viene vissuto e viene considerato come una capacità biologica condivisa da tutti gli esseri viventi. Un corpo infertile, al contrario, viene considerato un corpo che incrina l’identità di genere, soprattutto femminile.
L’infertilità attiva un cambio di significato anche alla sfera sessuale. La finalizzazione forzata alla procreazione dei rapporti sessuali rischia di impoverire la sessualità stessa dal punto di vista affettivo e relazionale, trasformandola in un atto meccanico e privo di senso. Il pensiero costante e intrusivo dell’infertilità può far sentire come se il medico fosse permanentemente presente, anche in camera da letto.
Così trasformata l’intimità di coppia non è più di nessun conforto, ma al contrario diviene occasione per mettere in evidenza la reciproca ineludibile interdipendenza biologica e la “colpa” del partner infertile.
Il sentirsi in colpa per l’infertilità, infatti, è quasi inevitabile, e nel tentativo di dare un nome ad essa l’accusa ricade su precedenti scelte fatte, sugli incontri sessuali del passato, sull’incuria verso il proprio corpo, sulla decisione di fare figli quando “ormai è troppo tardi”. Ciascun membro della coppia è invaso da dubbi e da risentimenti verso l’altro e ciò mette a dura prova l’unione coniugale.
La vita si divide tra l’attività del mondo, dove tutto in apparenza continua come prima, e la vita dominata dal “segreto” dell’infertilità, in cui tutto è sospeso, in cui tutto è difficile, se non impossibile, da controllare. Il pensiero di un corpo che non risponde e che “è in mano ad altri” provoca un duro colpo alla fiducia in se stessi.
Tutto ciò provoca una cambiamento anche nella percezione del tempo e il suo cammino inarrestabile inizia ad essere percepito con dolore. Il tempo viene vissuto per un verso ciclico, in cui ad ogni ciclo mestruale si riattiva la speranza che tutto possa cambiare miracolosamente, da un altro verso viene percepito come lineare e il pensiero dominante è “i bambini degli altri crescono, la vita procede e la menopausa si avvicina velocemente”.
Il pensiero della vecchiaia e della morte è orfano del conforto della posterità, della possibilità di lasciare nel mondo qualcosa di sé, ossia di ciò che rende umana e tollerabile la prospettiva della fine della vita.
In questa prospettiva le relazioni familiari e sociali divengono occasioni di continuo confronto con la propria infertilità, il mondo viene visto da un unico punto di vista, e il pensiero predominante lo trasforma in un “mondo popolato da altri, da coloro che hanno avuto bambini”.
Sotto quest’ottica chi cerca di “sdrammatizzare” non fa che banalizzare senza alcuna sensibilità, e il tentativo di dare consigli non fa altro che peggiorare le cose.
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